venerdì 12 gennaio 2024

[Recensione] Martin Mystère: L'enigma del satellite (2023)

Martin Mystère: L'enigma del satellite

Storia: Carlo Recagno
Disegni: Alfredo Orlandi
Colori: Daniele Rudoni, Elisa Sguanci
 
Novembre 2023
 

LA MACCHINA PER SMACCHINARE

 Anche Martin Mystère, personaggio che comunque già vanta un'invidiabile carriera editoriale con pubblicazioni in diversi formati speciali, si immette nella scia delle moderne produzioni Bonelli da libreria, e quindi relativamente di lusso, mirate a un pubblico di collezionisti, decisamente più ristretto di quello che si rivolge alle edicole, ma probabilmente abbastanza facoltoso da compensare il calo numerico di copie vendute. L'edizione con copertina rigida e carta patinata, pur non offrendo alcun valore aggiunto alla storia e quindi alla lettura, funge inoltre da richiamo per una potenziale fetta di pubblico che dà importanza a questi aspetti superficiali e mondani, pur seguendo una serie e un personaggio che invece da sempre puntano sui contenuti e sulla riflessione critica (probabilmente Martin Mystère allude a questa dicotomia, affermando di essere radical e chic in momenti diversi?).
 Ma questa recensione, non legittima in quanto giunge dopo l'annuncio di chiusura della sezione recensioni di questo blog, non intende occuparsi né delle politiche editoriali che Bonelli Editore deve attuare per adattarsi e sopravvivere, né della deriva demografica del pubblico di Martin Mystère, sempre più distante dal personaggio e dal suo autore (tanto da non sapere che la carriera di Alfredo Castelli include la creazione e direzione di riviste dove coesistevano diversi medium narrativi, oppure che il Martin Mystère storico affonda le sue radici nella lettura popolare d'appendice a puntate).
 L'argomento che ci interessa è invece il ritorno del fumetto classico di Martin Mystère, nelle tematiche e nell'approccio, anche se si tratta di un ritorno temporaneo, semplificato e smorzato, oltre che piegato alle esigenze promozionali di una storia scritta pensando ai potenziali lettori occasionali da libreria, che non conoscono il personaggio e a cui vanno spiegate le sue caratteristiche fondamentali (tra cui non rientra la moglie Diana Lombard, si direbbe). Vale la pena di sottolineare che, grottescamente, tale ritorno avviene non dove ce ne sarebbe bisogno, e cioè sulla serie regolare, ma su un volume di lusso fuori serie.
 Tale volume nasce da una nuova collaborazione tra Bonelli Editore e l'Agenzia Spaziale Italiana; dopo gli eventi incentrati sul futuristico Nathan Never, il compito di illustrare gli ultimi traguardi tecnologici dell'Italia nello spazio tocca al contemporaneo Martin Mystère, la cui serie ha fatto dell'erudizione e della divulgazione una propria bandiera. Il personaggio dovrebbe essere quindi perfettamente a suo agio, nel raccontare le meraviglie avveniristiche dei satelliti Cosmo-Skymed e del loro impiego in ambito archeologico: invece, Martin delega l'esposizione a una comprimaria creata per l'occasione, e tale esposizione risulta corretta ma abbastanza noiosetta, nella sua accuratezza  puntigliosa da comunicato dell'ufficio stampa ASI. Non che l'autore non ci metta impegno nell'illustrarci con chiarezza il funzionamento dell'osservazione e analisi della superficie terrestre tramite i satelliti, ma il lettore capisce in fretta che si tratta solo di un compito da evadere il più rapidamente possibile, per poi passare al tema che davvero interessa allo sceneggiatore Carlo Recagno.
 Per quanto funzionale alla trama, visto che innesca la vicenda e contribuisce alla risoluzione,  l'osservazione satellitare finisce, infatti, per lasciarci un po' delusi: dovendo essere descritta in termini rigorosamente realistici, senza inventarsi funzionalità che non esistono (almeno per ora), finisce per non farsi sentire come dovrebbe a livello grafico; sì, è vero che vediamo più volte il satellite e la descrizione schematica del suo funzionamento, ma (inevitabilmente?) non c'è mai una sola occasione in cui ci sia dato di vedere le immagini elaborate dai computer in base alle osservazioni del satellite; dobbiamo, ogni volta, accontentarci di panoramiche della brutta sala informatica del Centro di Matera e della spiegazione data dal tecnico di turno. Probabilmente per lo stesso motivo, mancano inoltre il senso di meraviglia, curiosità e divertimento con cui Alfredo Castelli era solito presentare le innovazioni tecnologiche nella serie (basti pensare a I misteri di Londra, MM 85-86). 
 Metabolizzato quindi il satellite come una scusa narrativa, il lettore passa all'altro versante narrativo, e cioè il viaggio con esplorazione di sito archeologico dove Martin Mystère sfoggia una cultura storico-letteraria esposta in modo ben più stimolante, mentre il mistero si addensa intorno a lui, e figure arcane e mitiche emergono dalle nebbie del tempo, per rivelargli una verità storica dimenticata, relativa a un famosissom oggetto mistico e leggendario, e interagire con le sue fondamentali caratteristiche (non solo di caratterizzazione del personaggio, ma anche di peculiari attributi esterni che lo rendono unico). A causa del ridotto numero di pagine della storia, la narrazione giunge con l'acceleratore a un doppio apice risolutivo, che svela non solo il mistero, ma risolve anche il dramma personale e umano dei personaggi coinvolti, dando una appagante sensazione di chiusura del cerchio per quel che riguarda la storia in esame, e di ampliamento della visione narrativa generale della serie per quanto riguarda invece l'argomento mysteriano affrontato.
 La storia è illustrata da Orlandi, i cui disegni sono immutabili dagli anni 1990, e di cui non possiamo che ripetere le solite cose: il mondo contemporaneo gli è congeniale, quello passato un po' meno, per un lavoro comunque dignitoso. La colorazione è competente e di grande supporto nel valorizzare la spoglia staticità ripetitiva dei disegni. 
 
LA MACCHINA PER APPROFONDIRE
 
 Questa vicenda segna il ritorno di un filone tra i più affascinanti e vasti della saga mysteriana, pesantemente trascurato da anni nella serie regolare, e per di più vittima anche di un paio di tentativi apocrifi di ammazzarlo o di ridurlo tramite rettifica a una interpretazione superficiale e tecnomodernista. Si tratta del filone della materia arturiana, e quindi del Graal, innestato nel più ampio quadro dei doni degli dei spaziali chiamati inizialmente Tuatha De Danaan (con grafia variabile).
 Dandoci l'impressione di aver tenuto in serbo questa particolare trama per anni (decenni?), Carlo Recagno esplora e amplia la tematica avendo l'accortezza di non banalizzarla o spiegarla a tutti i costi; ecco quindi che il termine "Esagono" non viene mai utilizzato ("aveva un'altra forma", ci dice l'evanescente custode onirica Kundry) e che la natura di questi Doni resta sfuggente (per alcuni sono macchine, per altri sono esseri viventi; di certo sanno sognare, e i loro sogni prendono vita quasi autonoma), garantendo così la preservazione di quell'aura di mistero e inconoscibilità di cui Alfredo Castelli aveva saputo ammantare le fondamenta del cosmo mysteriano, ricordandoci che l'uomo può solo comprendere parzialmente la grandiosità dell'universo di cui è parte (come d'altra parte ci insegna la storia della scienza stessa, le cui teorie devono costantemente essere rivedute, ridiscusse, verificate, approfondite, ampliate, man mano che nuove evidenze vengono raccolte). 
 Mentre costruisce e ci fa riscoprire questa atmosfera arcana e immensa, Carlo Recagno produce anche indizi di nuovi elementi atti a svelare inediti dettagli della vasta e ignota storia mysteriana degli Esagoni. Ecco quindi che l'autocoscienza di questi oggetti-entità viene messa in discussione, quando Kundry, "figlia" del Graal arturiano giunto da Sarraz, descrive il Graal come un oggetto unico sin dal suo arrivo sulla Terra; Martin Mystère sa che quest'ultimo fu invece diviso in sette parti, e quindi noi dobbiamo chiederci se l'Esagono sappia di questa divisione, oppure se consideri se stesso comunque un oggetto unico, anche se fisicamente diviso. Ecco, inoltre, la descrizione di un processo inedito, e cioè la genesi di un nuovo Esagono a partire da un "seme" creato da uno di essi, cosa che ci spingere a chiederci come le analoghe Sette Spade furono generate in epoca atlantidea (e da chi); Recagno vuole forse dirci che fu così che accadde? Ed ecco, infine, la capacità di sognare degli Esagoni, che rimanda non solo al potere dell'Esagono-Anello, ma anche all'unificazione degli alieni Tuatha De Danaan con gli alieni Kundingas, che sono gli araldi del Tempo Del Sogno della mitologia australiana mysteriana.
 A questi mysteri se ne aggiunge un altro: l'arma muviana di Martin, il Murchadna, si dimostra ancora una volta capace di atti sorprendenti, spropositatamente potenti rispetto a quella che, in definitiva, dovrebbe essere "solo" un'arma in dotazione agli antichi soldati di Mu; è sempre più chiaro che la lunga permanenza in Agarthi, nelle mani di Kut Humi, custode dell'Akaschi e quindi della conoscenza raccolta dagli Esagoni, ha cambiato profondamente questo specifico Murchadna, fornendogli una connessione impensabile con i Doni dei Tuatha De Danaan.
 Queste rivelazioni, fondamentali per il lettore mysteriano storico, occupano un numero limitato di pagine, e scaturiscono da un altro argomento della materia arturiana primordiale che in Martin Mystère non era mai stato affrontato, ma che i lettori di Jean Markale conoscono bene, e cioè l'evoluzione narrativa del Graal, che divenne "calice" solo dopo essere stato il calderone o il catino ripieno di sangue delle leggende celtice, nel quale galleggiava una testa mozzata (nel nostro caso, Recagno riprende la leggenda celtica di Bran Bendigeidfrân, "il corvo benedetto"). In questo argomento si innestano le peripezie di Parsifal e del figlio Lohengrin, ampliando ulteriormente un filone che latitava dai tempi de Le ombre di Camelot (Martin Mystère Speciale n. 35), altra vicenda che curiosamente (e casualmente?) inserisce incongrue donne negre nell'impianto narrativo delle leggende celtiche o affini. Non può mancare il personaggio cruciale di Morgana, che qui compare senza nome e senza dialoghi, in una sola vignetta, mentre usa i suoi poteri per neutralizzare i poteri del Graal-Bran. (Altrettanto silenzioso, nel presente, è un canuto ispettore Bloch di Dylan Dog, che fa una comparsata mentre supervisiona l'arresto di alcuni ladri.)
 Nella storia si fanno sentire anche sequenze più rassicuranti per i lettori meno esigenti, come l'inutile schermaglia tra Martin Mystère, Java e alcuni saccheggiatori di siti archeologici (il cui unico scopo è spiegare ai nuovi lettori che Martin è un uomo d'azione e che possiede un'avveniristica ed enigmatica arma dai poteri mysteriosi), oppure le citazioni alla serie televisiva di Doctor Who (che per una volta hanno senso, vista l'ambientazione inglese della vicenda).
 Per finire, non è la prima volta che Recagno si impegna per inserire un tocco di umanità e vita privata per i personaggi storici (o letterari) dei flashback della saga, ma questa volta vi introduce anche un dettaglio autobiografico personale molto esplicito, che ci fa ripensare al vero significato implicito di certi dialoghi comparsi nelle sue opere degli ultimi anni.

 Non possiamo evitare, immancabilmente, di sottolineare come il nostro fumetto Get a Life! abbia ancora una volta anticipato di anni le rivelazioni della serie ufficiale. Gli Esagoni, intesi come esseri viventi e senzienti, capaci di usare il Sogno, compaiono già in Come prisma, più di Prisma. La capacità degli Esagoni di riprodursi o sdoppiarsi risale invece a Un Martin per tutte le stagioni.

LA MACCHINA PER CONCLUDERE

 Andando oltre i tecnicismi per specialisti, cosa ci lascia la lettura di questo albo? Ci lascia un senso di nostalgia per un modo di fare fumetto mysteriano ormai perduto e per un potenziale narrativo che non si realizzerà mai pienamente, specialmente adesso che il personaggio di Martin Mystère è diventato un ologramma di se stesso, e ha subìto una strampalata rettifica temporale che ha post-datato la sua nascita e la sua giovinezza, negando quindi tutte le esperienze storiche che lo hanno definito come persona.
 Per dirla con Morando Morandini, nel leggere questa storia si ha la sensazione assai triste di assistere a "la dialettica tra mito epico e la sua fine dolente", di porgere un ultimo saluto a un mondo che viene soppiantato da una modernità dozzinale e superficiale, nell'indifferenza di un pubblico che si fa andar bene tutto il peggio più facilone e respinge l'approccio filologico e complesso, dopo aver ignorato (o peggio, disprezzato) per anni tutte le perle della produzione mysteriana. 

venerdì 4 agosto 2023

[Recensione] Martin Mystère n. 400 - "I colori impossibili"

 Martin Mystère n. 400 (mensile)

"I colori impossibili"
 Storia: Carlo Recagno
Disegni: Giancarlo Alessandrini, Rodolfo Torti, Alfredo Orlandi, Fabio Grimaldi
 
"Zona Y"
di Andrea Carlo Cappi
 
Giugno 2023
 

LA MACCHINA PER SMACCHINARE

 Come ben noto, la versione online di Get a Life! sta per chiudere i battenti: a fine 2023, un’ultima storia incentrata su Gobekli Tepe (e comparsa in precedenza sul Corriere del Mystero) segnerà la fine della pubblicazione semi-regolare del fancomic gratuito su internet. Lo stesso evento metterà una pietra sopra gli articoli di approfondimento, le rubriche, le recensioni, la biografia di Martin Mystère e tutto quello comparso finora su questo blog.

 Quali sono i motivi che portano a a una decisione tanto drastica? Visto che finora non ne avevamo mai parlato su queste pagine, né avevamo mai dato l’annuncio in maniera ufficiale, cogliamo l’occasione della recensione del celebrativo albo di Martin Mystère n. 400 per dare qualche spiegazione.

RECENSIONE

 Cosa si può dire su I colori impossibili che non sia già stato detto in rete, dove si sono sprecate le solite manifestazioni di odio viscerale per Martin Mystère, possibilmente condite da una sana dose di ignoranza atta a compiacere il basso ventre di un pubblico sempre più abbrutito?

 Magari si può fare un’analisi oggettiva di ciò che l’albo contiene e di quali sono le intenzioni con cui è stato costruito, invece che spacciare per una recensione quelli che invece sono piagnistei e capricci su ciò che arbitrariamente si esige dalla serie .

 Ma, soprattutto, si può analizzare il sottile messaggio nascosto in quella enorme metafora globale che è questo albo e che, apparentemente, nessun altro prima di noi ha saputo cogliere (ma siete calorosamente invitati a smentirci), forse perché il punto focale delle suddette “recensioni” era sfogare il solito livore rancoroso e stizzoso contro la casa editrice o l’autore in oggetto, quasi come se i relativi recensori fossero il ministro della giustizia di un governo di estrema destra che, per riuscire a vendicarsi a tutti i costi degli ex colleghi magistrati che combattono la mafia, si dedica con protervia velenosa a cancellare o svuotare i reati di associazione con la mafia e/o corruzione riguardanti i potenti.

 Procediamo con ordine, partendo dai contenuti più espliciti e oggettivi.

 Essendo un numero a doppio zero, Martin Mystère n. 400 è un albo celebrativo, e siccome l’autore è Carlo Recagno, i rimandi celebrativi sono pesantemente stratificati. La struttura narrativa è quella nota e ricorrente per questo filone: una cornice narrativa “vera” racchiude tre racconti di fantasia o realmente accaduti (in Martin Mystère n. 300, i racconti erano collocati nella realtà), e il tema delle storie è quello della percezione umana dei colori, perché i numeri doppiozero di MM sono non solo a colori, ma sui colori.

 E’ un albo celebrativo, abbiamo ripetutamente ripetuto, e quindi ognuno dei racconti celebra a sua volta diversi momenti della storia editoriale di Martin Mystère.

 Il primo racconto, con la sua invenzione impossibile e il finale umoristico, è un omaggio ai racconti ipotetici di Zona X e delle antologie scritte dallo stesso Martin Mystère, che spesso si divertiva a esserne protagonista. Come la cornice, questo racconto è anche un omaggio alla serie Magic Patrol di Zona X, che vedeva la base di Altrove, Chris Tower e Aldous Morrigan tra i protagonisti. La comparsata del negozio di Safarà è un omaggio a Dylan Dog, il quale appariva anche in Martin Mystère n. 200. Analogamente, la botta in testa che permette a Martin Mystère di usare il viewmaster per vedere ciò che gli altri non vedono richiama a sua volta un espediente narrativo del racconto finale di Martin Mystère n. 200.

 Il secondo racconto, ambientato nel 1859, mette in scena il raduno segreto di alcuni potenti personaggi storici legati alla battaglia di Magenta, collegando la loro vicenda alla genesi del colore magenta: si tratta palesemente di un omaggio a Storie da Altrove, che si intreccia con un omaggio allAlmanacco del Mistero, in quanto nella storia entrano in scena Docteur Mystère (il “non” antenato di Martin Mystère) e il suo figlioccio Cigale, per scontrarsi con gli Uomini In Nero dell’epoca, dietro richiesta di “Papà”, la direttrice di Altrove di quegli anni. Oltre agli omaggi, quindi, questo racconto propone una novità, e cioè un impensato e sorprendente contatto tra il Docteur e la base segreta di Altrove (per quanto si tratti di un’idea logica, però, ci viene detto che questo evento è accaduto in un’altra realtà; noi comunque, non ce la sentiamo di escludere che non sia avvenuto qualcosa di simile anche nella “nostra” realtà). Il colore magenta viene dallo spazio, il che ci rimanda al quasi omonimo racconto di H. P. Lovecraft, ma anche a un precedente colore cosmico mysteriano, e cioè l’indaco di Martin Mystère n. 300.

 Il terzo racconto, partendo come un’avventura di Angie con gli imbroglioni Dee e Kelly, intenti a viaggiare tra le realtà parallele grazie a un mandala basato sui colori avversari che il nostro occhio non può percepire, è un omaggio allo Speciale annuale; nella conclusione. compaiono inoltre il Martin Mystère e il Max de Le nuove avventure a colori (come si poteva omettere una citazione di una miniserie che il colore lo annunciava anche nel nome?). Carlo Recagno racconta inoltre di aver inserito un riferimento all’albo speciale Generazioni del 2003: “La scena con Angie che cade giù dal cielo è in effetti una autocitazione da Generazioni. Ed entrambe si rifanno a L'Incal di Jodorowsky e Moebius, alla scena che apre e che chiude la storia”. Il mandala che apre le porte della mente e delle dimensioni spaziotemporali, a sua volta, richiama un analogo varco dimensionale visto ne Il mondo di Escher (Speciale Martin Mystère n. 15) e basato sulla xilografia “Serpenti” di Maurits Cornelis Escher.

 Nella cornice narrativa, Martin Mystère è un “grande assente”, e proprio questa sua assenza funge da motore della vicenda, e quindi da scusa per radunare ad Altrove una gran parte dei suoi comprimari abituali. Al posto di Martin Mystère, come fil rouge narrativo, agisce il misterioso Spektor, un enigmatico creatore di storie impossibili che ogni volta sembra avere un’identità diversa, sempre atta a catalizzare eventi e rivelazioni: in Martin Mystère n. 100, si esibisce in un luna park di provincia per giocare sui pensieri segreti degli spettatori, come un telepate; in Martin Mystère n. 300 è in circolazione ai tempi di Cleopatra e di Isaac Newton, come crononauta; adesso, risulta essere un presunto quadricentenario (almeno così pensa Aldous, che lo conosce di fama, proprio come Tower) e studioso di rinomata competenza e abilità.

 Visto l’argomento dell’albo (non i colori, ma la nostra percezione degli stessi), non può mancare un collegamento a un albo di Carlo Recagno che trattava proprio questo argomento: Con la coda dell’occhio (Martin Mystère n. 315). La minaccia, infatti, sembra provenire dal Superspettro, di cui fanno una breve apparizione gli abitanti (anche se Spektor insinua che essi siano solo un’illusione).

 Riguardo alla risoluzione della storia, Carlo Recagno scrive: “Quando ho scritto il paradosso della predestinazione, non ho proprio pensato a Generazioni. Avevo in mente Doctor Who (e anche un episodio specifico). Dite la verità: quando Martin entra in scena dicendo: Mi fate passare, che devo salvare il mondo? non sembra il Dottore?”

 Il punto dolente, per noi, si trova proprio qui. Dopo 80 pagine di fumetto interessante, ben costruito, simpatico, documentato e celebrativo, il citato paradosso finale delude il lettore, perché spiegato male e seguito da uno strascico di domande che resteranno per sempre senza risposta. Non ci soddisfa certo che l’ispirazione sia stata il telefilm Doctor Who, sia perché l’improvviso utilizzo risolutorio di un usuratissimo paradosso temporale è forzato e stonato in una storia che non tratta di viaggi nel tempo, sia perché il detto telefilm ha decisamente stancato: a chi piace più, ormai, tranne Recagno?

 Ma i finali precipitosi non sono certo una novità, nella produzione di Alfredo Castelli per Martin Mystère, né lo sono le questioni in sospeso. Qual è, quindi, il fattore che ci spinge a chiude il blog e che è rappresentato da questo albo n. 400?

 La risposta potrebbe trovarsi in un altro paradosso: una storia così, che riprende il passato della serie e lo amplia, che fa discutere e criticare, che spinge a porre domande, è una storia che a essere fortunati compare una volta in un anno, ed è sempre più esitante a “esporsi” e approfondire, nel timore della reazione lamentosa e rimbecillente della nuova generazione di “lettori speciali”, quella che è stata accuratamente selezionata con la politica delle storie “emozionali” scopiazzate dai film e telefilm. E a scriverla è sempre e solo Recagno, perché gli altri autori interessanti si sono eclissati o sono stati rimossi (basti guardare le complesse, articolate e ambiziose sceneggiature di Alessandro Russo, relegate su un albo Maxi come se fossero scarti e assegnate al segno inadatto e datato di G. Romanini), probabilmente per volontà di una “direzione artistica” che punta da decenni a compiacere e inseguire solo il lettore occasionale, regalando ai lettori storici e affezionati il contentino saltuario, sebbene siano questi ultimi quelli che comprano tutte le uscite, e non i lettori di passaggio. Negli ultimi anni, la tendenza è peggiorata esponenzialmente: le promesse di “rinascimento mysteriano”, annunciate più volte, sono sempre state disattese; i nuovi sceneggiatori, infelicemente indirizzati, hanno puntato tutto su una comicità imbarazzante e su una narrazione formulaica, meccanica e impersonale dove gli elementi tipici mysteriani vengono gettati nel calderone quasi a caso e combinati in maniera superficiale, tanto da dare l'impressione che i soggetti siano stati elaborati da una intelligenza artificiale del livello della famosa ChatGPT, generando una sequenza interminabile di albi riempitivi, senza alcuna rilevanza, che uccidono l’interesse e spingono a ignorare le uscite successive. Vale la pena di seguire questa testata per leggere uno o due albi all'anno, e sempre incrociando le dita per potenziali sorprese nefaste volute dalla redazione?

 Tutto qui? No. c'è anche un significato più nascosto, in questo fumetto, nella sua struttura, nei suoi contenuti, nelle soluzioni e scelte narrative. In una parola, nell’enorme metafora che esso incarna, e che vogliamo ora sviscerare.

 Partiamo dalla già osservata debolezza della soluzione finale del paradosso della predestinazione. Martin Mystère sembra parlare con l'anomalia spazio-temporale come se stesse parlando a se stesso: l'anomalia sarebbe quindi senziente?

Prendendo per buona la definizione del Superspettro come "luogo della mente", data da un esperto creatore di mondi e storie come Spektor (definizione che, peraltro, non la differenzia granché dai vari Mondi dei Sogni visti nella serie), se ne deduce che sì, Martin Mystère sta parlando col proprio inconscio. Ma, visto che questa entità è colpevole della sua scomparsa dall'esistenza e dalla memoria, ci si chiede: che motivi avrebbe potuto avere Martin Mystère per desiderare di essere cancellato dalla realtà e dimenticato da tutti?

 Da qui, si giunge all’unica conclusione possibile. Tutta la storia, dalla cornice ai singoli racconti, è una proiezione dell’inconscio di Martin Mystère, ed è stata generata dal suo inconfessabile desiderio di fuga da questo suo universo narrativo ormai degenerato, dalla stanchezza dell’ottantenne usurato e inflazionato che vuole staccare la spina, e dall'impossibilità di farlo in modo permanente.

 Sparendo nel Superspettro, con modalità diverse da quelle che invece riguardarono Angie Dark durante una simile esperienza, Martin Mystère acquisisce i colori impossibili del Superspettro, e quindi passa da essere “detective dell’impossibile” a essere letteralmente un “personaggio impossibile”, e così facendo assurge al livello di dio. Qual è infatti la capacità di un dio, come ci ricordano tante mitologie, e che proprio lui manifesta  con la sua sparizione? E’ la capacità di generare infinite storie, che possono essere o false o vere oppure entrambe (esattamente come fa Loki, il trickster, altro personaggio cardine della mytologia di Recagno). Innescando questa pletora di interpretazioni divergenti, Martin Mystère cessa di esistere come una persona normale che invecchia in un universo che invecchia, si astrae e trascende fino a divenire un concetto archetipo come Topolino, un personaggio eterno e immutabile, la cui saga perde linearità e si polverizza nell'eterno presente di un poliverso che imita quello dei personaggi di Walt Disney, e cioè un universo auto-azzerante a piacere, divergente, contraddittorio, consecutivo solo quando serve. Un universo in cui può essere raccontato tutto e il contrario di tutto, senza tema di contraddizioni, perché basta ignorarle.

 Ecco perché, ritornato infine nel suo mondo, Martin Mystère è ormai un ologramma, più che una persona, un’icona a cui non può più accadere alcunché di rilevante o rivoluzionario. A dimostrarlo, c’è proprio la trama della cornice narrativa: la scomparsa letterale di Martin Mystère, cancellato dall’esistenza e dimenticato da amici e nemici, non ha effetti rilevanti sulla realtà, né lascia alcuna traccia dopo la precipitosa risoluzione.

 A corroborare questa interpretazione, arriva anche il concetto, ribadito più volte nel fumetto, dell'inesistenza dei colori, in quanto frutto della trasformazione di certe lunghezze d'onda da parte dell'organismo umano; poiché la genetica ci rende tutti diversi, questi colori divengono totalmente soggettivi, come spiega anche uno dei racconti presenti in Martin Mystère n. 100. Tra le righe, ci viene detto che quindi, allo stesso modo, anche la figura di Martin Mystère è diventata soggettiva, e cioè ognuno di noi lo "vede" in maniera diversa, e tutte le sue infinite versioni sono "vere". 

 Ed eccola qui, la suddetta colossale metafora. Questa che abbiamo descritto non è semplicemente una trovata narrativa usa-e-getta per un albo celebrativo: è invece la dichiarazione programmatica dell’evoluzione (involuzione?) della serie di Martin Mystère e del suo personaggio cardine. Una trasformazione comprensibilmente auspicata da Alfredo Castelli già quando Martin Mystère ebbe successo nell’universo Anni ’30: comprensibile, diciamo, perché chi non vorrebbe veder assurgere una propria creatura di fantasia allo stato di personaggio immortale dell'Olimpo della fantasia, in quanto stratificato nell’immaginario collettivo fino a sfiorare la definizione di archetipo?

 In aggiunta, questa storia non presenta né date né elementi che la collochino in un momento specifico della serie (divenuta ormai a-temporale in ogni caso), e può quindi essere avvenuta anche dieci o più anni fa: il mutamento (declino?) di Martin Mystère ha infatti origini ormai antiche, e anche se per molti anni ci si è affannati a ignorarlo o a smentirlo, I colori impossibili è stata configurata proprio per confermarlo definitivamente. Se vi serve un precedente di storie di Martin Mystère collocate ben prima della data di uscita, vi basti Martin Mystère n. 100, capostipite di questo filone: uscito nel 1990, è ambientato dichiaratamente un anno prima.

 Svelata la metafora e il significato più profondo, da pietra miliare (tombale?) retroattiva, torniamo quindi alla motivazione della decisione annunciata all’inizio: siccome ormai la consistenza interna della serie (trattasi della famigerata continuità; tutti gli altri usi di questo termine, anche e soprattutto in inglese da parte di chi ha dimenticato l'italiano, sono errati) è diventata relativa e quindi irrilevante, dato che può essere disneyanamente rimaneggiata, cancellata, riscritta, travisata, calpestata e ignorata a piacere. Ne consegue che non ha più senso portare avanti il discorso di questo blog, delle sue recensioni contestualizzate nella coerenza della mytologia globale della serie, dell’attenzione alla filosofia e poetica e culltura letteraria Castelliana (alla fine, hanno avuto successo i tentativi di snaturarle e negarle da parte di “critici” e autori  infiltrati), e dei fumetti di Get a Life!, che ricucendo gli strappi presunti, li trasformano nelle basi per capitoli narrativi inediti che riconducano tutto a una narrativa globale, organica e coerente (che non esiste più per scelta esplicita).

 Si può pensare di continuare a seguire solamente gli autori che finora si sono impegnati a portare avanti un discorso di coerenza e continuità della serie di Martin Mystère, ma così facendo, a causa degli interventi redazionali, che a volte sembrano voler portare avanti un arco narrativo "nascosto" che unisca albi di diversi autori "mercenari", si rischia di restare invischiati in una rete narrativa di qualità opinabile, che comprometterebbe anche il godimento dell'opera selezionata dei suddetti autori validi. Si è vista una potenziale avvisaglia del genere in Fantasmagoria, che sembra proprio il manifesto di questa infelice gestione d'insieme. C'è infatti un'idea di trama che sembra pensata per compromettere il discorso generale dell'universo mysteriano, e cioè l'insensatezza del meccanismo "elettromagico" di turno, che non si limita all'arbitrarietà di agire sulla psiche o di far viaggiare nel tempo a seconda della convenienza narrativa, ma calpesta anche le regole del viaggio nel tempo stabilite da Alfredo Castelli, che ha sempre usato questo elemento con estrema parsimonia e accortezza, e che Vincenzo Beretta e Carlo Recagno avevano leggermente ampliato, ma utilizzando elementi cruciali che il suddetto albo ha bellamente ignorato (non si sa se per impreparazione o per scelta). Da questa base, caritatevolmente definibile come traballante, si arriva al "colpo di scena" del finale, dove un giovane somigliantissimo a Martin Mystère (ma non imparentato) decide di punto in bianco e immotivatamente di andarsene dal nostro presente per vivere nella Francia del 1700, lasciandoci il sospetto che gli si voglia affibbiare il ruolo crono-paradossale di antenato di Remì D'Aix e quindi di Cigale; ma la sequenza è gestita così male che non si riesce a comprendere se si tratta di un istrionismo narrativo o di un effettivo e deliberato frammento di progetto più ampio, foriero di futuri colpi di scena sulla genealogia di Martin Mystère. Inevitabilmente, il seguito di una vicenda del genere, per quanto ben scritto da autori validi, finirebbe per essere minato alle fondamenta proprio dall'implausibilità delle premesse.

L'arte

 Immancabilmente, il reparto artistico coinvolge i disegnatori “storici”, da Alessandrini a Torti, più gli arrivi recenti di Grimaldi e Orlandi. I primi due sono veterani, e se hanno il tempo necessario, sfornano tavole solide e affidabili, sebbene non più ispirate ed evocative come un tempo. Torti, in particolare, dopo anni di Speciali sempre più graficamente caotici, ha recuperato parecchi punti, e la colorazione funziona molto bene   sulle sue tavole, arricchendole e complementandole in modo sorprendente. Grimaldi beneficia del colore, che riempie i suoi sfondi vuoti. Orlandi, fotorealistico e modernizzante, fa un po’ a pugni con una sequenza storica che avrebbe richiesto uno stile depoca più adatto alle vicende del Docteur Mystere (nota a margine: il tizio dipinto di magenta, nella prima vignetta in cui appare, sembri quasi un pupazzetto).

Il romanzo

 Nello stesso albo si conclude Zona Y di Andrea Carlo Cappi, autore da sempre molto interessato alle radici del personaggio di Martin Mystère e alla costruzione di intrecci elaborati che si radicano nel suo glorioso passato. Nel romanzo precedente, Il potere del falco, Cappi aveva spaziato nella carriera di Martin Mystère, da prima del 1984 a oggi, lasciandoci infine con domande senza risposta sull’origine e lo scopo delle statuette egizie, in classico stile mysteriano (e quindi, come detto in precedenza, fornendo le basi per stimolanti speculazioni). Questa volta, invece, il capitolo finale del suo romanzo tira tutte le fila della narrazione, rivelando con cura maniacale i retroscena che hanno portato un’intelligenza artificiale muviana, fuggita da un laboratorio che stava analizzando tecnologie perdute, a divenire un magnate dell’informatica e della tecnologia (Cappi ci sta dicendo qualcosa su Gates, Jobs e amici?). C’è persino spazio per affrontare una svista del precedente romanzo, e cioè l’esistenza di un libro scritto da Martin Mystère e pubblicato prima del suo primo libro secondo la cronologia ufficiale (è un'incongruenza che avevamo segnalato proprio noi, insieme a una possibile soluzione che Cappi ha rielaborato e inserito nella storia).

 Ma, come si evince dai desolanti commenti della comunità online, è quasi inutile produrre storia di questo livello. Infatti, il lettore medio di Martin Mystère odia la letteratura e i romanzi. Vuole le vignette disegnate, e manco legge le rubriche e i dato del colophon, altrimenti ha schifo e si sdegna. Esatto, è così: stiamo parlando di lettori che si dichiarano appassionati della serie creata da Alfredo Castelli, cioè un autore con profonde radici letterarie, ci ha da sempre attinto nella saga di Martin Mystère, per realizzare alcuni dei suoi momenti più affascinanti. Castelli, colui che propose un suo finale de Il mistero di Edwin Drood di Charles Dickens ne Il ritorno di Jaspar (Martin Mystère nn. 77-79). Castelli, colui che da Il pendolo di Foucault di Umberto Eco trasse l’ispirazione per il titanico impianto narrativo che ebbe inizio ne La setta dell’assassino (Martin Mystère nn. 88-90) e che si dipana ancora oggi. Castelli, che lesse e digerì la Teosofia di Helena Blavatsky per costruire il mito mysteriano di Agarthi e Kut Humi. Castelli, che insieme a Roberto Roda diede vita a Roncisvalle!, tutta incentrata sulla letteratura de paladini di Carlo Magno e sugli studi (scritti) dello stesso Rodi. Castelli, che scoprì la narrativa popolare ottocentesca di Paul d’Ivoi e di Paul Féval, per dare origine ai personaggi di Docteur Mystère e di Cigale, radicando la genealogia di Martin Mystére nel mystero e nell’universo di Wold Newton. Ai lettori di Castelli, la forma del romanzo a puntate (il fulcro dell’ispirazione castelliana) e quindi della rivista antologica con diverse forme di narrazione (altro vanto della carriera di Castelli), fa schifo: costantemente zitti su tutti i contenuti degli albi più mediocri, diventano improvvisamente chiassosi quando devono esprimere il loro sdegno e stracciarsi le vesti per la presenza del romanzo in appendice all’albo mensile di una testata che esiste proprio perché sono esistiti i romanzi popolari. Come si è giunti, per un personaggio come Martin Mystère, a creare una comunità che ne detesta le caratteristiche fondanti, e neanche ne è consapevole? Come già dicevamo, forse è il caso di porsi qualche domanda sulla scarsa lungimiranza della direzione editoriale dell’ultimo decennio? E che senso ha un blog come il nostro, per una comunità largamente popolata da interessi diametralmente opposti all'approfondimento e alla riflessione?

Bonelli Kids

Alfredo Castelli è nuovamente protagonista e causa delle umoristiche sventure di Martin Mystère bambino. Non è proprio una striscia celebrativa, ma è un simpatico tributo alla carriera e al talento del maestro.

Zio Boris

Coerentemente con il tema dell’albo, anche Zio Boris è a colori e parla di colori, introducendo la spaventosa figura dell’armocromista nel fumetto dell’orrore.