sabato 28 giugno 2014

La scimitarra di Gengis Khan

In trenta anni di esistenza, Martin Mystère ha raccolto influenze culturali/stilistiche di ogni genere, ma nel contempo ha a sua volta influenzato generazioni di nuovi scrittori e artisti (che si parli di romanzi, fumetti, film o telefilm, poco importa).
Tra omaggi, coincidenze involontarie, plagi più o meno sfacciati, crossover non dichiarati e chi più ne ha più ne metta, non poteva mancare anche la parodia di casa Disney, dove la tradizione del rifacimento in chiave ironica dei classici letterari e cinematografici dura da ormai mezzo secolo e oltre.

Creato da Bruno Sarda, Indiana Pipps è uno dei tanti parenti di Pippo, col quale condivide l'aspetto fisico, ma non l'attitudine all'avventura archeologica e all'esplorazione dei luoghi più esotici della Terra.
Visivamente ispirato alla figura di Indiana Jones, come afferma il suo stesso nome, Indiana Pipps si muove in un universo davvero Mysterioso. Fin qui, niente di insolito: anche il professor Jones, dopotutto, è una variante di Martin Mystère.
Ma quando le somiglianze e gli omaggi raggiungono certi livelli di precisione, bisogna concludere che non si tratta di una semplice coincidenza, come dimostra questa avventura a fumetti pubblicata per la prima volta in Topolino n. 2951:

"Indiana Pipps e la scimitarra di Gengis Khan"
Storia di Bruno Sarda
Arte di Emilio Urbano

L'inizio si svolge secondo schemi familiari, anche se ormai comuni a tutta la letteratura di questo genere: Indiana trova un vecchio manoscritto che lo mette sulla strada di un nascondiglio abilmente occultato nella biblioteca di una ricca famiglia veneziana ormai estinta.


 Risolti gli enigmi del caso, Indiana rinviene certe pergamene in cui si rivela che Marco Polo, nei suoi viaggi, scoprì il luogo dove era stata celata la leggendaria scimitarra di Gengis Khan, un'arma che conferisce al suo possessore la capacità di soggiogare la volontà degli uomini. Da ciò sarebbe derivata la potenza del conquistatore Gengis Khan, proprio come nella serie di Martin Mystère è invece un'altra arma, la Lancia di Longino (una Excalibur camuffata) ad aver conferito ad Adolf Hitler la capacità di soggiogare le masse.




Annotiamo anche la tendenza della serie di Martin Mystère ad attribuire conoscenze "occulte" a personaggi storici famosi, connettendoli ad altri personaggi con cui forse non ebbero mai a che fare (nello stile del Wold Newton Universe e della League Of The Extraordinary Gentlemen).


Indiana Pipps si reca quindi tra i monti dell'Himalaya, dove deve affrontare un viaggio tra nevi perenni per giungere al leggendario Monastero Blu: questo viaggio iniziatico non sarà drammatico come quello che conduce Martin Mystère ad Agarthi (o il Dottor Strange al monstero del Grande Antico), ma di certo vi somiglia molto. Se però anche questo elemento è abbastanza comune, lo stesso non si può dire della parete di ghiaccio che occulta il monastero e che, quando viene colpita dai raggi del sole a una certa angolazione, ne riflette ingannevolmente l'immagine: il prodigio naturale descritto è fin troppo simile a quello che riguarda la Città delle Ombre Diafane di Java, in Mongolia.




Il Monaco Blu che accoglie Indiana è capace di valutare le persone con gli occhi e col cuore, nello stile di tanti altri monaci del filone avventuroso (tra cui Kut Humi ovviamente). Però, quando affida la Scimitarra a Indiana, affermando che sarà la coscienza di quest'ultimo a dirgli cosa farne, è impossibile non rivedere Kut Humi che affida l'Arma a Raggi a Martin, prevedendo che ne farà un uso ben particolare.

I malvagi che ostacolano Indiana fanno parte di un'organizzazione chiamata CAOS, molto simile alla frangia degli Uomini in Nero di Martin Mystère che brama il controllo degli antichi poteri Atlantidei per conquistar il mondo. A questi si oppone l'organizzazione dei Custodi del Mistero, che ricalca invece molte caratteristiche della mysteriana Altrove (dall'eterogeneità dello staff al gigantesco magazzino di oggetti perduti e proibiti).

Dulcis in fundo, gran parte degli "oggetti magici" disseminati sulla Terra deriva dai "doni" lasciati qui milioni di anni fa dai potentissimi alieni Eones, che li forgiarono col metallo azzurro delle loro astronavi: descrizione speculare all'avvento dei Tuatha De' Dannan, che portarono sulla Terra gli Esagoni da cui gli uomini ricavarono oggetti magici di ogni genere (Spade come l'Excalibur, Pietre, Coppe, Lance, Anelli).






A questo punto, basta navigare un po' in rete per scoprire che la somiglianza è voluta. Una breve cronologia delle avventure di Indiana Pipps porta alla luce ulteriori "somiglianze", e persino uno sceneggiatore a noi noto. Ora non resta che chiederci: cosa aspetta Alfredo Castelli ad avere Bruno Sarda come sceneggiatore ospite di Martin Mystère? (Ma solo opite una volta, perché non è che i disneyani Mainardi e Badino si siano dimostrati eccelsi autori regolari).

"Indiana Pipps e il ritorno del Dottor Kranz" (Topolino n. 1931)
Storia di Bruno Sarda, arte di Massimo De Vita

 In un flashback, Indiana Pipps e Kranz, colleghi e amici, diventano mortali nemici a causa di una 'arma a raggi' di origine aliena (il canovaccio segue quello alla base della vicenda di Martin e Orloff).

"Indiana Pipps e la fonte della bellezza" ((Topolino n. 1963)
Storia di Bruno Sarda, arte di Massimo De Vita

Indiana Pipps guarda in televisione il programma 'I misteri di Mister Martin', detective dell'impossibile la cui domestica è una donna di neanderthal.

"Indiana Pipps e la valle della memoria perduta" (Topolino n. 2203)
Storia di Vigna e Silvio Camboni; arte di Camboni
Lo sceneggiatore NathanNeveriano Vigna propone una trama ispirata a quella de Il mistero del Nuraghe, cui aveva contribuito fino ad apparire tra i personaggi della storia.

"Indiana Pipps e la scatola del tempo" (Topolino n. 2922)
Storia di Giorgio Figus e Bruno Sarda; arte di Giampiero Ubezio.
Indiana Pipps racconta a Orazio e Clarabella di quando lui e l'amico Jim Branat trovarono in Tibet una camera del tempo di Mu, provvista di automa meccanico difensivo.

mercoledì 25 giugno 2014

Get a Life n. 30 - Ciò che non è morto (3)

Get A Life, la serie NON presentata da Martin Mystère, presenta l'episodio n.30 di Giugno 2014, Ciò che non è morto (parte 3).

E lo fa augurando buon compleanno ad Alfredo Castelli (con un'ora di anticipo!)

Diana Lombard affronta il Grande Vecchio, mentre Mabus svela l'arcano della Sorella Perduta della famiglia Lombard! Cosa lega i gli Arcani Maggiori dei Tarocchi al Piano Astrale e alla Dea della Luna Morrigan?


Arte di Filip Cerovecki.
Storia e lettering di Franco Villa.
Supervisione di Luca Salvadei e Cristian Di Biase.

In questo albo si parla di:
"Ultimatum a New York" (Speciale Martin Mystère n. 7), "L'isola di ghiaccio e di fuoco (Martin Mystère Gigante n.8), "Il cuore di Cristopher", "D'improvviso una notte, "I trentasei giusti", "Il libro di Toth" (Martin Mystère n.33).

Tutti gli altri episodi e l'arte extra qui: indice della serie Get A Life.

venerdì 20 giugno 2014

Diana "Ellenica" in 3D!

Dopo il bonus di Martin e la creatura del pozzo oscuro, ecco che la sua salvatrice Diana Lombard in versione "antica Grecia" riceve la piena luce dei riflettori.
Inoltre, la corazza nanoetcnologica di Torn si evolve ancora.



Arte di Stefano.

martedì 17 giugno 2014

Martin, Diana, Java e Torn in 3D!

Dopo qualche esperienza in passato, Martin invade di nuovo il mondo a tre dimensioni della grafica computerizzata!

Arte di Stefano per tre immagini iconiche di Martin Mystère, Diana Lombard e Java, in una costante evoluzione sperimentale del loro aspetto che è anche una metafora della loro vita a fumetti (e a cartoni animati): si va da un terzetto con un look giovanile incredibilmente moderno (e chi l'aveva mai visto un Martin così svecchiato senza renderlo un "toon" multicolore dagli occhi enormi?) al Martin sempre più maturo, mentre Diana passa da sventola con i capelli lisci a una più matura "Veronica Lake" (vittima sacrificale!); infine, c'è un Java con un diverso tipo di cravatta (era ora!) e una caratterizzazione meno caricaturale del solito (sarà così che lo vedeva Maria?)



Per non fare torto a nessuno, Stefano si è cimentato anche con uno dei personaggi Atlantidei di Get a Life!. Ecco Torngasak in due diverse versione della sua uniforme da combattimento. La prima richiama le Cloth di Saint Seiya (che a loro volta hanno origine Muviana, come rivelato da Masami Kurumada), mentre la seconda è un omaggio alle tecnologie futuribili di Iron Man. Un doppio omaggio simbolico che incarna i due aspetti fondamentali delle società di Atlantide e Mu, la scienza e la magia.



Extra dell'ultim'ora! Ispirato in parte a "La tredicesima fatica" e in parte a "Il risveglio di Tiamat", ecco Martin Mystère che se la vede con la creatura del pozzo! E come mai Diana ha un aspetto così mitologicamente ellenico? Chi legge Get a Life lo saprà presto!

domenica 15 giugno 2014

[Recensione] Martin Mystére n. 333, “Il naufragio del Telemaco”




Martin Mystére n. 333
"Il naufragio del Telemaco"
Sergio Bonelli Editore
Giugno 2014


Storia di Alfredo Castelli con Enrico Lotti. Disegni di Giovanni Romanini.

Secondo la leggenda, re Luigi XVI di Francia decise di salvare la propria ricchezza dalla Rivoluzione, inviandola segretamente in Inghilterra tramite un battello che sarebbe dovuto partire da Rouen. Il battello era il Telemaco (a una prima ricerca, non abbiamo trovato documentazione in italiano in rete e ci siamo accontentati dei siti in francese). Il battello affondò prima di raggiungere il mare aperto e, quando fu recuperato da un certo Taylor, circa cinquanta anni dopo, la stiva risultò contenere solo materiali comuni.
Alfredo Castelli parte da queste premesse per sviluppare una vicenda segreta che si è svolta dietro le quinte dei già non proprio limpidi fatti storici: il Telemaco affondato nella Senna era in realtà uno specchietto per le allodole, mentre il vero vascello che portava questo nome salpò nientemeno che per le Americhe, con meta New York.
Per aumentare la simmetria, Castelli unisce a questa ricostruzione segreta anche un’altra leggenda, quella secondo cui il figlio di Luigi XVI, il delfino Luigi Carlo, dopo essere stato imprigionato dai Rivoluzionari, fu sostituito in cella da un bambino rachitico e gravemente malato, che morì al posto del nuovo re minorenne (a tutti gli effetti, Luigi Carlo era divenuto Luigi XVII). Come il tesoro del re, anche Luigi Carlo viaggiò fino alle Americhe, dove avrebbe raggiunto la maggiore età e procreato, dando vita a una dinastia parallela dei Borboni protrattasi fino ai giorno nostri (anzi, come precisa un personaggio del fumetto, si tratta dell’unica e vera dinastia dei Borboni per linea di sangue).
Oltre a ricostruire queste mitologie già note, Castelli aggiunge uno sviluppo logico che non è particolarmente sorprendente o mysterioso, rivelando che intorno alla famiglia reale Borbone (ridotta attualmente a un solo rappresentante) ruotano i discendenti della nobiltà dell’epoca, che avevano seguito Luigi Carlo nelle Americhe: si tratta di persone con nomi comuni e lavori altrettanto comuni, che però in privato usano i loro titoli nobiliari e, proprio come i loro antenati, ordiscono trame e complotti per il potere e la ricchezza, dando forma a una corte di nobiluomini straccioni, parodistica ma anche fanaticamente pericolosa.
Con l’attuale re (denominato Francesco IX) ormai gravemente malato e senza eredi, è inevitabile che gli ambiziosi nobili contemporanei ambiscano a garantirsi la successione, a qualunque costo.
Martin Mystère viene coinvolto da questo gruppo di apparenti squilibrati e, nonostante il suo scetticismo, si lascia trascinare nell’intrigo in corso, soprattutto perché questi presunti discendenti di nobili francesi sono molto informati riguardo al carico di un certo relitto di un vascello francese che, secondo il fumetto, viene ritrovato proprio in questi giorni durante gli scavi sul fiume Hackensack.
Sembra quindi che la leggenda del Telemaco giunto nelle Americhe corrisponda a verità: Martin indaga, sopravvive agli attentati dei nobili e svela il nome dell’assassino di Francesco IX, risolvendo anche l’enigma del nascondiglio degli ori di Francia. Purtroppo, le casse del tesoro del Telemaco, finalmente ritrovate in una chiesa di provincia, contengono solo sassi, lasciando tutti con l’amaro in bocca.
In una ricostruzione di fantasia che chiude l’albo, Martin ipotizza che il signor Leroux (colui che gestì l’intera fuga del tesoro e del Delfino) abbia invece portato i preziosi in Brasile, dove visse agiatamente assumendo l’identità di un mercante spagnolo; per di più, il presunto Luigi XVII transfugo era solo un trovatello che Leroux aveva spacciato per il Delfino, allo scopo di ingannare i nobili che gli avevano commissionato l’impresa.
I discendenti di quei nobili si sono quindi scannati a vicenda senza motivo, e del tesoro della corona francese non si sa né si saprà mai nulla.

Martin Mystère affronta con divertimento questa vicenda, ironizzando spesso e volentieri sulle stramberie della moderna “corte di Francia” calata nella realtà newyorkese, fino a usare deliberatamente i titoli nei nobili coinvolti per spiazzare Java.
Castelli ricorre alla classica e apprezzata tecnica del “visitatore esaltato” che racconta una storia impossibile a Martin, per dare vita alla parte più interessante del fumetto, e cioè i flashback storici che rivelano come si sono “veramente” svolte le cose durante la Rivoluzione Francese.
La documentazione dettagliata ed enciclopedica, tipica dell’autore, si dispiega nella ricostruzione storica, con un'accurata analisi socio-politica delle forze che si agitavano a Parigi durante la Rivoluzione Francese. Per certi versi, l'accenno agli n-mila complotti che involontariamente facevano da schermo a ulteriori cospiratori sembra quasi una metafora della pletora di organizzazioni segrete contemporanee dei fumetti di Martin Mystère, le quali non si incontrano/scontrano mai finchè non interviene Martin a smascherarle una a una.
Meno dettagliata e "spiegata" è invece la geografia della narrazione presente: Castelli sembra dare per scontato che tutti sappiano che nel New Jersey esiste un fiume Hackensack omonimo della cittadina che sorge sulle sue sponde, ma forse sceglie di restare sul vago per non svelare l'inganno linguistico che porta fuori strada i cacciatori del tesoro.
La cultura di Castelli si palesa infine anche nell’abilità con cui crea una falsa pista per il tesoro, la quale conduce alle isole Barbados, salvo poi svelare tramite nozioni storiche quale sia la località che un tempo includeva nel proprio nome il termine “Barbados” (ed è giustamente questo il contributo che l’onnisciente Martin Mystère fornisce alla vicenda).

Giovanni Romanini illustra la vicenda col suo tipico stile calato negli anni 1960, che risulta abbastanza efficace nel rendere lo squallore degli ambienti della fine del 1700, ma che traslato nel presente finisce col far passare un televisore ultrapiatto per un oggetto vintage. Visivamente, la narrazione risulta monocorde e senza sorprese come la trama, rispecchiandone la scarsa vivacità con inquadrature che si mantengono omogenee dall’inizio alla fine dell’albo.
Oltre alle immancabili fisionomie che vacillano di vignetta in vignetta, rendendo dubbia l'identità dei personaggi, compaiono prospettive terribili o impossibili: a pagina 18, il marinaio che sfonda la parete alle sue stesse spalle viola ogni legge della fisica, mentre la panchina a pagina 59 permette a Martin e Rosenberg di guardarsi in faccia o di sedere a livelli diversi (è una panchina a gradoni? ad angolo?). Si potrebbero elencare numerose altre situazioni vistosamente errate, ma non ci basterebbe lo spazio.
Come nel resto della sua produzione camaleontica, Romanini mescola personaggi ufficiali illustrati con lo stile di Giancarlo Alessandrini a personaggi secondari che invece hanno le fisionomie alla Magnus.E' sconcertante il  contrasto causato dall'alternanza di vignette con disegni "linea chiara" (letteralmente identici ai lavori di Alessandrini) e vignette dense di grevi ombre che assalgono i personaggi anche quando siedono al parco in piena luce; a volte i due stili si scontrano persino nella stessa vignetta, per non parlare di quando l'abbigliamento cambia coloroe (da bianco a nero) da una pagina all'altra (l'incontro di Robespierre con "qualcuno" segue questo andazzo e a un certo punto non si capisce quasi più chi sia chi).

La copertina di Giancarlo Alessandrini è coerente col titolo, ma si rivela anche slegata dal fumetto effettivo, nel quale non avviene nessuna immersione sul fondale del fiume Hudson, non si vede mai il relitto del Telemaco, non v’è alcuna traccia del tesoro, non si riscontra ovviamente la presenza di subacquei o fauna ittica ostili e infine latitano completamente la “avventura” e l’effetto “appassionante” della caccia al tesoro che era stato promesso dalle anteprime.

mercoledì 11 giugno 2014

Le foto di Get A Life n. 2 cartaceo

Get a Life n. 2 in versione cartacea!

Martin Mystère! Diana Lombard! Vincent Von Hansen! Sergej Orloff! Christ Tower! Blackjack! Travis Doppio Tì! Ian Rogers! Antonietta di Magic Patrol!

La città volante egizia di Herwein! La maschera di Orloff! L'accumulatore! I Giganti di Mont'e Prama! Altrove! Atlantide, Mu, il Capitano Nemo, il Nautilus e la Sardegna!

martedì 10 giugno 2014

GaL #30 - That Which Is Not Dead 3

Get A Life (the fancomic miniseries NOT presented by Martin Mystère) presents That Which Is Not Dead 3 in English.
At long last, it's Diana versus the unholy alliance of Algernon Mabus and the Great Old One!
The Astral Plane is shaken as the forces of Diana's inclination unfold, and the Major Arcana of the Tarots unleash in the cosmic background!


English edits by Zac DeBoard
Story & lettering by Franco Villa.

Want more? Here is the Get a Life! episode index.

domenica 8 giugno 2014

[Recensione] Dylan Dog Color Fest 12 - Eroi (b): Incubo impossibile



Dylan Dog Color Fest 12 - Eroi (b): Incubo impossibile

Storia di Luigi Mignacco e Alfredo Castelli
Arte di Luigi Piccatto e Renato Riccio
Colori: Overdrive Studio
Premessa

Da quasi un lustro, ormai, il fan di Martin Mystère è abituato ad attendere 9 uscite all'anno (6 bimestrali + Speciale, Almanacco e Storie da Altrove), dato che il Maxi e il Gigante sono defunti rispettivamente nel 2008 e nel 2009. Da allora sono state prodotte anche 4 storie brevi e un racconto in prosa riservato a pochi eletti (più il secondo romanzo di Carlo Andrea Cappi, appena uscito), ma a saziare il mysteriano hanno provveduto soprattutto quelle che nell'Indice Analitico 2002 erano state indicate come "Varie", ovvero le apparizioni estemporanee degli elementi mysteriani su altre testate. Nathan Never e Zagor avevano assorbito il mondo di Mystère già negli anni 1990 e col passare del tempo hanno aumentato il numero di rimandi e citazioni (addirittura Zagor ne ha approfittato per costruire una vera e propria saga, che di fatto è uno spin off di MM e di cui parleremo in un prossimo articolo), ma anche Dylan Dog, di tanto in tanto non si è lasciato sfuggire l'occasione per una qualche allusione al BVZM (nel 2013 si è ricordato di Martin in due occasioni).
Questo preambolo per dire che, oggi, qualunque albo in più targato Mystère fa brodo per il mysteriano, per cui il Dylan Dog Color Fest nr. 12, tutto dedicato ai team-up bonelliani, non può di certo passare inosservato. Tanto più che la sua stessa esistenza basta a riprendere una non-collana giacente immobile da ben tredici anni: stiamo parlando dei Team-up veri e propri (i "Martin Mystère & ..."), albi appositamente realizzati per far incontrare due testate differenti e pubblicati come one-shots. Non comparivano dal lontano 2001, quando il secondo "Martin Mystère & Nathan Never" (Il segreto di Altrove) aveva chiuso un ciclo iniziato il decennio prima. I gusti, e la volontà, di Sergio Bonelli erano ben noti: i team-up dovevano essere il più possibile evitati, al punto che due di essi, inediti e già delineati, erano poi stati costretti alla ritirata sulle testate di partenza. Stiamo parlando della famosa “Scure incantata” (2002), che trasforma Zagor in Za-Te-Nay, e dei “Misteri di Londra” (2004) di Dampyr, ove compare un indagatore dell'incubo londinese che non è Dylan Dog.
Oggi il ritorno degli incontri ufficiali fra protagonisti di serie differenti è una certezza (tanto che per il futuro è già programmato un crossover tra DD & Dampyr), ma per riabituare il lettore a ciò che per i suoi colleghi statunitensi è banale è necessario procedere per gradi. Ecco dunque quattro brevi divertissements che vedono Dylan agire, con modalità non epiche ma più o meno strampalate, con quattro miti del fumetto bonelliano: Jerry Drake alias Mister No, Napoleone, Nathan Never e ovviamente Martin Mystère.


Storia

Inizialmente accreditata ai soli Mignacco e Piccatto, “Incubo impossibile” è la storia che vede il ritorno di quello che forse è IL team-up italiano per definizione, ovvero Dylan Dog & Martin Mystère. Agli autori sono poi stati aggiunti Castelli ai testi e Riccio ai disegni, forse per via di rimaneggiamenti resisi necessari dopo il recente cambio al vertice dylaniato (dal 2013 il curatore è Roberto Recchioni e la storia era in lavorazione già prima). Ora non staremo qui a chiederci cosa abbia scritto Mignacco e cosa abbia aggiunto Castelli, altrimenti si ritorna a “La minaccia di Allagalla”  (Martin Mystère n. 329); possiamo solamente dire che l'avventura imbastita è sicuramente una delusione per quanti si aspettavano qualcosa con un minimo taglio epico o comunque serio. Può invece incontrare qualche apprezzamento da parte di chi aveva capito che, in sole 32 pagine, non sarebbe stato possibile elaborare nulla più di un esercizio di stile. Perché “Incubo impossibile” è proprio questo: un giochino, o, per essere più precisi, una parodia. Parodia di Dylan Dog, com'è ovvio, ma soprattutto di Martin Mystère.
Dov'è il problema? È che, una volta accettato questo, segue l’inevitabile pizzico di delusione nel vedere che le caratteristiche uniche di Martin Mystère finiscono per essere ridicolizzate, invece che valorizzate, sprecando l’occasione di renderlo interessante agli occhi di un pubblico che abitualmente lo ignora. Dopotutto, il Color Fest è anche (soprattutto?) una vetrina in cui esporre personaggi Bonelli meno noti al vastissimo pubblico di una delle punte della casa editrice.
Pur non facendo peggio degli altri tre Eroi in gioco, Martin non riesce a farsi conoscere come è veramente: il detective dell'impossibile non dovrebbe essere un Indiana Jones che scova manufatti inventati in generiche piramidi, manufatti che per puro caso fanno "cose mistiche" (per citare Vincenzo Beretta), come la sfera che permette a Dylan e Martin di scambiare le proprie coscienze. Quella è la versione banale del personaggio, ed è ormai stata vista in svariate occasioni "celebrative", così come ormai le versioni fanservice di Java (che dice "mghr" e mena pugni), di Altrove deus ex machina, degli Uomini in Nero cattivissimi e pronti ad essere picchiati e di Diana "bella dell'eroe" non sono certo quelle più fresche possibili. Si poteva sfruttare lo spazio a disposizione per fare qualcosa di diverso dal solito.
Tuttavia, i dialoghi si rivelano abbastanza spigliati e qua e là molto divertenti (Groucho è in gran forma, d'altronde sia Mignacco che Castelli ai tempi d'oro hanno dimostrato di saperlo maneggiare con profitto), e con i loro sprazzi di lucida follia metafumettistica fanno dimenticare la pressoché inesistenza della trama. Male però il finale, con la scena sentimentale, ovviamente parodia del sentimentalismo a tutti i costi Dylaniato ma in cui Diana è proprio pesce fuor d'acqua, e male il cazzottone dell'ultima tavola, decisamente gratuito.


Arte

Lo stile di Luigi Piccato è ormai da svariati anni eccessivamente stilizzato e squadrato. In questo caso è però coadiuvato da Renato Riccio: il risultato è complessivamente gradevole, per merito anche della vivace colorazione. Martin è disegnato meglio qui che in “Cagliostro!” (Dylan Dog n. 18), l'unico precedente di Piccatto col BVZM. Bene o comunque passabili anche i comprimari di ambo le serie, come Tower, Diana, Lord Wells e madame Trelkovski, male invece Java, spesso trasformato involontariamente (a meno che non sia un effetto voluto anche questo) in un Incredibile Hulk con la gobba.

La copertina di Sara Pichelli offre un Martin molto serioso, completamente antitetico al tono della storia che lo ospita. Il disegno, preso a sé, è comunque di gradevole fattura, in particolar modo nello sguardo del professore.


Le altre storie

Brevi cenni alle altre tre storie, che non riguardano Martin.

“Le radici del Male” (Masiero/Civitelli, col. Luca Bertelè) vede finalmente agire insieme Dylan e Jerry Drake, dopo che i due si erano sfiorati (e forse incontrati, ma non è certo) nella celebre “Ananga!” (Dylan Dog nn. 133-134), quando era stato proprio Martin Mystère a metterli in contatto. Ananga, lo spirito del Male amazzonico, era stato protagonista della prima storia sclaviana con Mister No e si era poi manifestato a Londra, scisso in due metà (positiva e negativa) nella sopracitata avventura dylandoghiana. Non poteva che essere lui il casus belli capace di far interagire i due personaggi. L'idea che Masiero s'inventa per dare il via alla vicenda (il copycat) non è granché, almeno finché non ci si accorge che nel richiamare le due storie di Sclavi l'autore si è ricollegato all'intero corpus sclaviano, e in particolare alla concezione del Male che Sclavi aveva anche esemplificato nella storia omonima (Dylan Dog n. 51). Il Male è qualcosa di immanente e invincibile, giacché è sempre legato al Bene e ha le sue radici nell'essere umano. In questo senso la vignetta finale racchiude perfettamente il senso della storia (che a detta di chi scrive è la migliore dell'albo, anche per via del semplice e misurato riutilizzo dei comprimari), oltre ad essere una citazione-omaggio alle vignette finali di ben due delle storie misternoiane firmate Sclavi, e precisamente “La casa di Satana” (Mister No nn. 104-105) e “La notte dei mostri” (Mister No nn. 138-139), non a caso due storie dai connotati altrettanto horrorifici (ed è noto cosa fosse l'horror per lo Sclavi di quei tempi). Come se ciò non bastasse, la rivelazione delle origini dell'idolo di Ananga fornisce anche un tocco di continuità finora inedita.

Completamente diverse per impostazione le altre due avventure. “Buggy” (di Ambrosini/Bacilieri, col. Erika Bendazzoli) rimette in scena Napoleone, assente dalla chiusura della sua serie nel remoto 2005. E, a dire il vero, è una vera storia breve di Napoleone: Dylan Dog vi compare poco e senza un vero motivo concreto, se non l'occasione fanservice di vedere Allegra invaghirsi di lui. Un team-up poco team-up, insomma. D'altro canto era lecito aspettarselo: “Le spoglie del guerriero” (Napoleone n.42), che vedeva come ospite un Dylan Dog di fantasia, aveva già chiarito la posizione di Ambrosini in merito a questo tipo di trovate.

“Demoni e silicio” (Rigamonti/Calcaterra, col. Fabio D'Auria) è invece la storia più improbabile del lotto. Non tanto perché, con la magia tecnomante in gioco, l'incredulità deve essere sospesa del tutto, quanto per lo stile adottato dai tre autori, che fanno sembrare questa storia un prodotto sfornato nella prima metà degli anni 1990, quando cyberspazio, personaggi plastici molto spesso in posa da eroe (in un paio di punti Calcaterra sembra Castellini), narrazione "marvelliana" di trame altrimenti terribili e pillole di riflessioni esistenziali erano la norma. Tutti elementi che troviamo gradevoli, ma che ci portano alle stesse riflessioni cui ci aveva condotto il Buon Vecchio Zio Marty (che con Nathan ha molti punti d'incontro): perché è così difficile per le nostre serie italiane preferite presentarsi senza prendersi in giro o rifarsi ad un passato che non c'è più?

Il comparto grafico dei tre shorts risulta efficace e in grado di ricreare le atmosfere delle serie originali. Questo vale soprattutto per Bacilieri e Civitelli, mentre, come sopra detto, l'avventura di Nathan Never si rifà ad un contesto, quello dei primi anni '90, ormai estinto, ma comunque ben ricostruito da un convincente Calcaterra.

Se ne discute sul forum di Agarthi.

Studio dei personaggi di "Dottor Sulkamore"

Get A Life, la serie NON presentata da Martin Mystère, presenta gli studi dei personaggi per Dottor SulkAmore, o "Come imparai a smettere di preoccuparmi e amare l'arma della fine del mondo".

Sulka Nanazca, il signore della regione di Nazca, il creatore delle figure delle omonime piane!
Isemori, la sorella di Amaterasu, imperatrice di Mu!
Gli scienziati di Atlantide, noti anche come i Tre Marmittoni: coloro che costruirono il satellite che divenne l'arma della fine del mondo!
Il Docteur Mystère, l'intrepido avventuriero ottocentesco, assistito dal fedele Cigale: gli antenati alla "Jules Verne" di Martin Mystère, condotti da Alfredo Castelli nel Wold Newton Universe grazie ai romanzi di Paul D'Ivoi!


Arte di Darko Bogdanov.

venerdì 6 giugno 2014

Il programma del "Martin Mystère Mystery Fest" numero 12

Sabato 21/6 a Genova, dalle 15.00 in poi, presso la Biblioteca Berio, si svolgerà il Dodicesimo Fest dedicato a Martin Mystère!
Tra i molti ospiti, Alfredo Castelli e Giancarlo Alessandrini.

Ai seguenti link, il PDF con tutti i dettagli sul tour, la conferenza, la mostra e la cena.
- Su JooMag
- Su Scribd
- Su Issuu

domenica 1 giugno 2014

[Recensione] Martin Mystère n.332, "Il risveglio di Tiamat"


Martin Mystère n.332, "Il risveglio di Tiamat"
Storia di Paolo Morales
Arte di Paolo Morales e Fabio Grimaldi


Storia

Diretto seguito di “Orrore tra i Sumeri” (Martin Mystère nn. 126-127) del 1992, storia che vanta il primato di essere l’unica mai scritta da Ade "Lazarus Ledd" Capone per il BVZM e l’ultima ristampata sulla rimpianta collana TuttoMystère, questo Il risveglio di Tiamat è la seconda produzione di Paolo Morales in edicola dopo la prematura dipartita dell'autore.
Ma se la prima, Gli abitatori del sottosuolo (Martin Mystère n.327), si era rivelata essere un convenzionale fumetto di sola azione che disattendeva le premesse del suo preludio per sviluppare un complotto improbabile, questa volta il sequel viene messo a profitto per ampliare la mytologia della serie.

Anche Il risveglio di Tiamat presenta lo schema tipico della maggioranza delle sceneggiature di Morales: il prologo con morti misteriose in una qualche località esotica (per il pubblico italiano); la sequenza statica con un monologo dedicato all'argomento dell'albo; la presentazione della bella archeologa/scienziata di turno; le conseguenti frecciatine fra i coniugi Mystère (e la consueta scena di sesso che rinsalda la coppia, a dimostrazione che si può essere “giovani” in ogni momento, anche se nel mondo non di fantasia tale mentalità ha portato più danni che benefici); altre morti misteriose; lo scatenarsi della minaccia; il viaggio nel Paese esotico e la presentazione degli altri "compagni di sventure", solitamente modellati su quelli dei kolossal hollywoodiani; il profilarsi dell'Apocalisse; la sconfitta del Mostro; la chiosa finale con la morale (solitamente riassumibile in "vivi e lascia vivere").

In questa occasione, però, delle classiche figure Moralesiane sono presenti solamente lo scienziato buffo "preso dai film di Spielberg" (cit. Leo Ortolani), Mirzà, e il mussulmano ortodosso, Farid, i quali in questo caso formano una "strana coppia" stereotipata ma riuscita. Non manca anche il vegliardo detentore di un’antica tradizione (qui la resurrezione dell'āšipu), mentre alla bella archeologa viene riservato un ruolo leggermente diverso dal solito: anziché accompagnare Martin per tutto l'albo, la donna (la dottoressa Margot Jordan) scompare inaspettatamente verso metà albo, per ritornare solamente nel finale come nemica, vittima della possessione della dea Tiamat.
A fare da spalla a Martin troviamo l'ispettore Travis: è una prima scelta insolita, che ricordiamo solamente nel citato prequel di Capone, in Cassandra di Mignacco-Castelli e nel gigante La sindrome di Matusalemme di Castelli. Sempre più curiosamente, la caratterizzazione di Travis si discosta dal serioso, e spesso cupo, ispettore visto nelle precedenti storie di Morales, per degenerare nella versione deformed di Get a Life!, alias il famigerato DoppioTì. Se non avete mai letto le avventure di costui, benedette dallo stesso Alfredo Castelli, ve le proponiamo online nell’elenco a questo indirizzo, ma vi ricordiamo che esiste anche un’edizione cartacea di ben due di esse (“Il teatrino della memoria corta” e “Incubo nei cieli”), come riportato anche sul sito Bonelli.
In Il risveglio di Tiamat, l’ispettore Travis, non pago di essere stato coinvolto arbitrariamente nell'azione (non si capisce perché debba essere proprio lui ad accompagnare Margot all'estero, in barba a tutte le giurisdizioni), per tutta la storia, anche durante momenti più o meno drammatici, si produce in una serie di battutacce degne dei "personaggi buffi" dei film di Michael Bay. E’ gustosamente balzano vedere Travis fare battute sulla cacca (pag.126), oltre che inusuale per lo stile della serie, coerentemente con la "voglia di leggerezza" del recente Morales; nella mischia entra anche la coppia da avanspettacolo di Farid e Mirzà, che contribuisce non poco a sdrammatizzare la vicenda.

Questa propensione a non prendersi sul serio, rivelatadall’autore ai tempi del trentennale, segnava un netto cambiamento di rotta rispetto alla precedente gestione che prevedeva il dramma a ogni costo, quasi in modo paradossale. E’ facile riscontrarla nelle ultime prove di Morales, caratterizzate da una crescente improbabilità e bisognose di una elevata sospensione dell'incredulità. Senza bisogno di scomodare l’Orizzonte degli Eventi, si possono citare la fortuita infiltrazione di MM nel party blindato di Progetto cyborg, il traffico di vite umane raccontato dal cattivo per mezzo di diapositive ne Gli abitatori del sottosuolo, o la (strumentale!) commedia degli equivoci che chiudeva Il tesoro di Didone.
Se normalmente il “mystero” convenzionale ha sempre avuto scarsa presa su Morales, Il risveglio di Tiamat invece ripropone il tema dei culti sumero-babilonesi di Marduk e Tiamat, confermando la sua predilezione per i classici delle mitologie mediorientali, dalla Regina di Saba alle piaghe d'Egitto, passando per il Necronomicon di Abdul Alhazred e gli intrighi del Mossad. Da appassionato di simbolismi quale Morales era, il serpente e il cerchio sono in questo caso la figura più adatta per rappresentare la chiusura di un ciclo, e ci pare che questo albo sia proprio il commiato del miglior Morales, del narratore che abbracciava il passato mysteriano e lo utilizzava in modo spontaneo per guardare avanti.
In questo albo, infatti, Morales prende il paletto fissato da Capone nella remota storia di ventidue anni fa (trasformati in “alcuni anni” dalla redazione) e lo espande sapientemente, raccontandoci retroscena che non conoscevamo e che derivano dalla "vera" mitologia (presumibilmente con l’aiuto di Carlo Recagno, come Morales aveva spiegato quando la storia era ancora in lavorazione).
Così, quando ci racconta dell'eterna sfida fra Tiamat e Marduk, ci racconta contemporaneamente la storia dell'Uomo (Uomo contro Donna, Figlio contro Genitore, Creatura contro Creatura, dato che Marduk è "maschile" e Tiamat "femminile", Marduk è "figlio" di Tiamat ed entrambe sono due creature che vogliono sopravvivere) e quella della serie (con tutte le sue diramazioni).
Perché la guerra senza tempo fra le due creature di puro Male (due Grandi Antichi di generazioni diverse o, come ipotizzato in mailing list, una divinità primordiale e una secondaria, o forse entrambe le cose) non può che rammentare l'assurdità dell'altra guerra senza tempo, quella fra Atlantide e Mu, fondamento della serie ("anche se avevano altri nomi e svolgevano altre funzioni, all'epoca... i miti si evolvono [...]", dice Sana'I a pag.113) e quindi l'assurdità di tutte le guerre.
E perché l'energia primordiale costituita dai Cento Me, un male che si propaga da persona a persona, richiama in modo molto forte l'immagine lasciataci a suo tempo dal Male sclaviano (Dylan Dog n. 51), forza negativa che sempre prevale e dalla quale non è possibile sfuggire se non per pochi prescelti. E chi altri può essere uno di questi pochi se non l'eroe/protagonista/eletto/Terzo Occhio/probabile Campione Terrestre Martin?
Il finale dell'albo, in realtà, con la rinascita di Margot suggerisce che sia la persona comune quella veramente dotata della possibilità di fare la cosa giusta: è la classica morale, che funziona in quanto morale per definizione. Tuttavia, a ben vedere, nel corso della vicenda Margot non fa altro che essere posseduta, perdere i sensi ed essere immersa nel liquido rigenerante. Martin, invece, è un "uomo eccezionale" (come afferma pure Mirzà a pag.98) ed è lui ad accedere alla propaggine del Mondo del Sogno ove incontra Sana'I. La camera rigenerante, poi, con le sue particolari peculiarità, pare fatta apposta per fornire un'ulteriore alternativa a disposizione dell'autore che volesse risolvere una volta per tutte la secolare questione dell'età del protagonista. Per auto-citarci ancora, alla correlazione fra il ritorno di Marduk, la cosmogonia dualistica dell'universo mysteriano e il ruolo "salvifico" di Martin avevamo dedicato parte della nostra "Storia Segreta del Mondo" (in particolare la seconda e la terza parte) e ci ha fatto molto piacere ritrovare certi elementi in una storia di Morales.

Sempre nelle “cifre” dell’'autore, e scendendo più nello specifico, si nota una certa forzatura in alcune situazioni. Travis, il quale è pur sempre un ispettore di polizia di NY e non un federale con competenze internazionali, svolge un viaggio in Iran su semplice richiesta della Jordan, senza contare che in Iran la giurisdizione passa al commissario Abbar (i cui agenti si fanno ovviamente sfuggire la protetta). Morales deve essersene accorto a cose fatte, e forse per questo motivo da quel momento Travis, diventato inutile ai fini della trama, si trasforma in un elemento comico. 
Deludentemente, la "furia degli elementi" che si scatena su tutta l'area dell'antica Mesopotamia (pagg.104-105) non ci viene mostrata in modo esaustivo, ma viene solamente relegata al telegiornale, in un dejà vù da disaster movie televisivo.
Il ruolo "salvifico" di Martin e del Mondo del Sogno rientrano nell’ambito del deus ex machina, ma come la serie ci ha insegnato, l’alternativa è ormai solo quella di avere Martin semplice spettatore, per cui è meglio non lamentarsene. Inoltre, come ricorda il sagace articolo di Castelli in appendice al fumetto, c'è un che un metanarrativo in tutto ciò che è epico, e quando mitologia "storica" e serialità del fumetto si fondono con naturalezza non si sta facendo altro che aggiungere un tassello a quella grande soap opera che è la Storia (se ci passate la poetica espressione).
Il meccanismo utilizzato da Martin e soci per accedere al Mondo del Sogno si basa su una scienza “di confine”, o fringe science, come si direbbe in inglese: si tratta di un ritorno alla più pura tradizione Castelliana dei primordi, quella che mescolava l’elemento mysterioso dell’autocombustione alla spiegazione scientifica collegata a esperimenti di quel precursore transumano che era Mr. Jinx. Certo, al giorno d’oggi, dopo i telefilm The X-Files ed eredi, è difficile avere la stessa carica di originalità del lavoro di Castelli, e infatti la tecnica usata nel caso in questione è ormai stratificata nell’immaginario comune e notissima al grande pubblico grazie a telefilm come Fringe, ma comunque si tratta di una scelta narrativa importante, che si spera stimoli gli autori a riprendere il tema delle tecnologie avveniristiche e a rilanciarlo, tornando a fare di Martin Mystère una serie vivacizzata dalla curiosità per il potenziale delle nuove idee in circolazione.
 
L’arte
 
Ottimo il lavoro svolto da Fabio Grimaldi, ancora una volta a fianco del Morales disegnatore. Il duo conferma uno stile ligne claire "all'americana" in grado di conferire una costante espressività ai vari personaggi e una profondità di campo sempre attenta. Ottimi gli sfondi, che dovrebbero essere opera proprio di Grimaldi. Ci si augura che l’autore rimanga nello staff mysteriano anche "a solo".

La copertina di Giancarlo Alessandrini mette in scena una Tiamat poco somigliante a quella mostrata nel fumetto, ma nel complesso il gioco di colori orchestrato da Alessandro Muscillo e il Martin in posa da eroe offrono un disegno godibile.

Da segnalare come i risguardi interni siano firmati Carlo Velardi (sviluppatore dell'App per IPad dedicata a MM).

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